I Miei Uomini Possessivi della Mafia

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Capitolo 6: La vogliamo

Capitolo 6: La Vogliamo

Riccardo

"Non c'è, porca miseria!" Marshall sbatté la lista degli ospiti sul tavolo, furibondo, fissando Adanna.

Lei si agitò leggermente quando incrociò il suo sguardo. Era una ragazza intelligente, sapeva quando era nei guai e ora lo era sicuramente.

"Perché il nome di Angelia non compare qui?" chiese cercando di mantenere la calma, ma si vedeva che stava per perdere la pazienza.

"Chi?" Chiese lei con le sopracciglia aggrottate.

"Angelia, la donna dai lunghi capelli neri corvino che è uscita poco fa."

Quando sentì nominare Angelia, si irrigidì per poi rilassarsi piano piano, con un sorrisetto soddisfatto che non capivo.

"Mi deve essere sfuggito."

"Sai che ogni ospite deve firmare la lista, è la regola. Per una cosa del genere rischi di perdere il posto qui al club." Minacciai, prendendo in mano la situazione, e vidi gli occhi di Adanna sgranarsi per la paura.

"Mi... mi dispiace, non era mia intenzione." balbettò, visibilmente terrorizzata all'idea di perdere il lavoro. Cercò lo sguardo di Marshall in cerca di aiuto, ma non trovò alcun sostegno.

"Le hai fatto firmare il modulo di riservatezza?" chiesi, già sapendo la risposta, e lei scosse la testa.

"Vuoi forse essere licenziata?" Ormai ero furioso, non solo perché non riuscivamo a scoprire il nome della nostra misteriosa, ma anche perché era suo compito assicurarsi che tutti firmassero il modulo di riservatezza entrando nel mio locale.

Ero in un vicolo cieco, una situazione che non mi era mai capitata prima. Mi era bastato uno sguardo da lontano per volerla conoscere meglio, rivederla. Avevo bisogno di lei, nessuna mi aveva mai colpito così, e per questo dovevo trovarla a qualunque costo. Ma come accidenti potevo riuscirci, conoscendo solo il suo nome di battesimo?

La mia mente era un turbine di pensieri su come rintracciare questa donna, Angelia. Dovevo chiamare il mio investigatore privato; da solo non l'avrei mai trovata, ne ero certo. Com'era possibile che tutto cambiasse in un attimo? Non dico che fosse lei, per carità, sarebbe stato assurdo, ma non potevo lasciarla andare senza prima conoscerla, senza capire se potesse davvero essere quella giusta per noi.

Era proprio quel "se" a tormentarmi: mi aveva stregato dal primo istante, e doveva pur significare qualcosa, no? Forse, dopo tanta attesa per trovare la persona giusta, stavo diventando impaziente — lo stavamo diventando tutti. Era più probabile che fossi solo colpito dalla sua bellezza, dal suo corpo perfetto, piuttosto che lei fosse davvero quella giusta per noi. Solo a guardarla mi prendeva un brivido e il pensiero di lei mi faceva impazzire. Chi era quella donna, e come poteva avere un tale effetto su di me con un solo sguardo?

Anche se poteva rivelarsi una delle tante che non facevano al caso nostro, dovevo comunque rivederla, e non avrei escluso nulla fino a quel momento.

"Ehi, dov'è andato Kingston?" chiese Marshall, guardandosi intorno.

Mi voltai, ma non lo vidi da nessuna parte. Per essere un uomo così imponente, sapeva muoversi come un'ombra quando voleva. Non mi ero nemmeno accorto che fosse uscito, eppure sapevo che ci aveva seguiti fin lì.

"È a..andato fuori," disse Adanna, indicando la porta.

Le lanciai uno sguardo seccato, mi avvicinai alla porta e, proprio mentre stavo per afferrare la maniglia, questa si aprì, lasciando apparire il volto scuro di Kingston.

"All'ufficio," disse con la stessa tranquillità di sempre.

Il mio ufficio era al terzo piano, lontano dal frastuono e dalla folla. Ampio, con un salotto accogliente, una scrivania e un bar privato sempre rifornito delle nostre bevande preferite. Si accomodarono entrambi sul divano di pelle, mentre io mi occupavo delle bevande.

"Niente per me, domattina ho una riunione presto," disse Kingston, prendendo una sigaretta dal tavolo e accendendola.

"Dove sei stato?" chiese Marshall, fissandolo in attesa di una risposta.

"A parlare con i buttafuori," rispose. Era un uomo di poche parole.

Non l'avevo mai sentito fare un discorso più lungo di tre parole, e mi chiedevo come facesse a gestire riunioni e affari.

"Perché hai parlato con loro?" chiese Marshall, ancora perplesso.

Finalmente capii: i buttafuori dovevano aver visto il suo documento, e di certo non l'avrebbero dimenticata. Come avrebbero potuto? L'ho vista da lontano e ne sono rimasto subito affascinato. Loro l'hanno vista da vicino e sapevo che sarebbe stata ancora più bella da vicino. Non so perché non avevo pensato ai buttafuori, ma era un bene che qualcuno lo avesse fatto.

"Come si chiama?" chiesi subito dopo Marshall, lasciandolo ancora più perplesso.

"Angelia Hartwell, ventitré anni. Studia, ma si sono dimenticati in quale università."

"Oh, certo." Marshall sorrise, finalmente capendo di cosa stavamo parlando.

"Ventitré anni, dici? Niente male..."

"Altroché se è male. È così giovane, potrebbe non gradire tutta questa differenza d'età," ribattei, interrompendo Marshall.

Sul serio? Maledetto Marshall. Aveva proprio il vizio di ragionare più con la parte bassa che con il cervello. Ma, per una volta, ero contento che qualcuno prendesse le mie difese, perché anche se capivo le ragioni, stavolta proprio non volevo cedere. Ero io quello che teneva la testa sulle spalle nel nostro gruppetto, Marshall era l'esatto contrario, mentre Kingston, beh, lui di solito si adeguava a qualsiasi decisione prendessimo.

"Quindici anni non sono poi così tanti, anzi, sedici per Kingston. Magari a lei potrebbe piacere qualcuno con un po' di esperienza," ribatté Marshall, e io volevo tanto dargli ragione.

Per quanto ci sperassi, dovevo comunque fare la mia parte e vedere chi l'avrebbe spuntata. È proprio per questo che noi tre funzionavamo: prima di buttarci in qualcosa, mettevamo sempre sul piatto pro e contro.

"E poi, noi tre… chi non si spaventerebbe? Essere condivisa non è roba per tutti e, come ho già detto, lei è così giovane che potrebbe davvero spaventarsi. Almeno su questo siamo d'accordo, no?"

"E se fosse una sottomessa?" intervenne Kingston, interrompendo la discussione. Accidenti, non ci avevo nemmeno pensato.

"Questo possiamo cambiarlo," disse Marshall, guardandoci con una certa speranza negli occhi.

"Sapete quanti sottomessi ci sono finiti ai piedi, anche sapendo che eravamo dei Maestri?" scossi la testa alle parole di Marshall.

"Assolutamente no, lì mettiamo un limite. Non convinceremo mai nessuno a diventare schiavo: dev'essere sempre una scelta libera, che ognuno deve fare per conto suo, senza alcuna nostra influenza."

Marshall lo sapeva, ma capivo la sua impazienza: non capitava spesso che uno di noi, figuriamoci tutti e tre insieme, trovasse qualcuno che ci facesse davvero battere il cuore.

Kingston non aveva detto molto in proposito, ma non era una novità. Se non fosse stato d'accordo, l'avrebbe fatto sapere. Anche lui la desiderava, come del resto tutti noi: la volevamo, costi quel che costi.

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